- Viandanti diretti alla Gerusalemme del Cielo
Si avvia questa sera il cammino quaresimale che ci conduce alla Pasqua del Signore. Non è un percorso da calendario, ma un tentativo di interiorizzazione.
Siamo chiamati a recuperare il rapporto con Dio, passando dalla superficialità al riordino delle priorità della nostra vita.
Nella tradizione israelitica, l’immagine per eccellenza di questa proposta è il tema della libertà, il cammino dell’esodo fino alla Terra Promessa.
La Santa Assemblea è adunata per chiedere a Dio il dono di essere recuperati dalle strade sbagliate che abbiamo percorso, per ritrovare la via buona che ci conduce, attraverso la pratica della speranza, alla nostra Pasqua personale, cioè al passaggio da questo tempo di prova, alla Gerusalemme del Cielo. “Sei venuto per compiere il tuo viaggio: ci sei entrato per uscirne, non per restarvi. Sei un viandante, questa vita è soltanto una locanda”[1].
I Santi Padri ci invitano ad anticipare il progetto di Dio su di noi, facendoci ricordare la festosa compagnia che ci attende alla Festa di cui la Pasqua è il Sacramento: “Il bel giardino del Signore… possiede non solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, l’edera di quelli che vivono nel matrimonio, le viole delle vedove. Nessuna categoria di persone deve dubitare della propria chiamata: Cristo ha sofferto per tutti. Con tutta verità fu scritto di lui: «Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 4)”[2].
Questo cammino è, innanzitutto, il recupero della nostra originalità. La comunione, che vogliamo tornare a fare nostra con Dio e con i fratelli, valorizza la nostra persona perché il Signore l’ha concepita unica e irripetibile[3], intrinsecamente buona.
- Tornare a valorizzare la nostra persona
La Scrittura chiama questo cammino, alternativo perfino a noi stessi, proponendoci un nostro cambiamento nel modo di pensare (metanoein, μετανοεῖν), reso possibile dal nostro affidarci a Gesù Cristo: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”[4].
La conversione richiede anzitutto un processo di introspezione. Siamo chiamati a scrutare noi stessi. San Girolamo, per esprimere questa esperienza necessaria per riprendere quota nella vita cristiana, usa il verbo latino perpĕndĕre. Occorre cioè pesare le nostre scelte fatte finora, per vedere se hanno il valore adeguato al fine che ci proponiamo.
È dunque un esercizio di libertà nel quale affermare il primato e il valore della persona. È come dire che l’essere vale più del fare. Il nostro orientamento verso Dio non ci umilia mai.
Nella logica del Magnificat si qualifica la nostra scelta di fede con quell’exaltavit humiles[5], che Maria dice di sé, ma anche della Chiesa intera di cui la Madre di Dio è l’icona più perfetta, la dimensione più autentica.
La prima virtù che ci è chiesto di esercitare in questo tempo di Quaresima è il realismo dell’umiltà, liberandoci dalla tentazione demoniaca di Genesi, dove il peccato è descritto come tentativo di collocarci al posto di Dio: “Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio»”[6]. Se ne esce sistematicamente nudi e paurosi, cioè svalutando il nostro essere, che è il capolavoro del creato, e vergognandoci delle nostre scelte.
- I frutti della penitenza
Il cammino di conversione, pur essendo sempre e comunque connesso con una consapevolezza da recuperare e con un pensiero non sufficientemente valutato dalla nostra coscienza, ha anche quella dimensione affettiva che il padre del figliol prodigo ricorda al primo figlio: “Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”[7].
La conversione ha anche una dimensione del cuore che non va sottovalutata, nella duplice realtà che il Vangelo appunto ci propone.
L’essere sempre con Dio è il tema della Grazia, che è anticipazione della salvezza eterna, una storia d’amore che merita di essere ricambiata nell’ascolto della Parola, nel procedimento interiore del recupero del rapporto col Signore, ma anche nella preghiera che è risposta al Padre che ci invita e ci interpella, chiamandoci Figli. Lo spirito di famiglia di tutti noi che siamo chiamati famuli Dei, piccoli figli di Dio, coinvolti nel gestire i beni di famiglia, cioè l’intera progettualità del Signore sulla salvezza dell’uomo e del creato.
Tutto questo comporta non solo cambiare il modo di pensare, ma anche un comportamento adeguato a chi non è più servo nel meccanicismo del succedersi delle generazioni, perché divenuto responsabile della valorizzazione del dono di Dio. Un cambiamento di vita, con il profumo della concretezza, è il fine del cammino quaresimale.
[1] Sant’Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 40, 10
[2] Sant’Agostino, Discorso 304, 14
[3] Cfr. «De ratione personae est quod sit incommunicabilis». S. Th.,1. q 30, a.4, ob. 2
[4] Mc 1, 15
[5] Lc 1, 52
[6] Gen 3, 4-5
[7] Lc 15, 31