Ingresso dell’Arcivescovo Riccardo – discorso tenuto alle Autorità in Piazza della Libertà

21-09-2009

Signor Sindaco,
distinte Autorità Civili e Militari
che hanno avuto la cortesia di accogliermi al mio arrivo in questa città!

Desidero innanzitutto ringraziare per le numerose attestazioni ricevute fin dal primo annunzio della mia nomina a questa antica e prestigiosa Sede aretina-cortonese e biturgense nella quale Papa Benedetto XVI mi ha destinato a svolgere il ministero episcopale.
La mia riconoscenza ai signori Sindaci di Spoleto e di Norcia e di molte altri Comuni dove sinora sono stato Vescovo o dove tra breve lo sarò. Grazie anche per la sua presenza al Sindaco di Forte dei Marmi, mia città natale, che con molta gentilezza ha voluto farsi presente quest’oggi.
Con molto rispetto, Signor Sindaco d’Arezzo, Le chiedo di essere accolto in questa comunità. Mettendomi accanto ai molti migranti, che vengono da luoghi diversi con l’intenzione di ben operare in questo territorio, sono a chiederLe di volermi annoverare tra i cittadini di questa città, dove volentieri, a partire da questa sera, fisserò la mia residenza.
Nei 44 anni nei quali sono stato lontano dalla Toscana mai ho dimenticato la bellezza della mia terra e la vivacità delle nostre aggregazioni. Appartiene alla storia della Chiesa far tesoro di identità forti, per quel che le compete valorizzandole. Ciascuna delle nostre città fin dall’antichità medievale è aggregata attorno ad una piazza, che è, ad un tempo, il luogo di incontro delle persone, ma anche il simbolo della confluenza tra molte diversità. Il concetto stesso di cittadino è legato alla capacità di incontrarsi con gli altri, di discutere e dialogare, di trovare rispetto, anche nelle diversità di opinioni. La piazza è lo spazio più largo della casa di ciascuno. Oltre ad essere punto di incontro è segno di appartenenza. Attorno all’unico luogo che è di tutti, si affacciano le singole identità: le istituzioni, ma anche le peculiarità di ciascuno. La piazza finisce per essere, nella nostra storia, il simbolo del bene comune, o, ancor più, lo spazio che esprime il partecipare. Il futuro sembra giocarsi più nel dialogo che nella contrapposizione, nella capacità di convergere, assai più che nelle lacerazioni. Mi piace pensare la nostra città, di grandi risorse, come un laboratorio culturale, dove nella globalità si ragiona di uomo, nella pienezza delle risorse e nella ricchezza d’essere creature di Dio. Abbiamo sufficienti risorse per essere un interessante luogo di sperimentazione e il terreno di cultura dove i sogni di futuro possono convertirsi in realtà.
Il mio pensiero, fin da questo primo momento pubblico, va alle famiglie che in questi complicati frangenti hanno difficoltà economiche per la carenza di commesse lavorative, in un territorio che si è distinto nei decenni per le sue capacità e l’apprezzato know how nei molti settori delle proprie attività.  E’ noto a tutti in Italia che la Provincia aretina, soprattutto nel periodo susseguente il secondo conflitto mondiale, ha saputo gestire le trasformazioni con singolare acribia e avvalendosi di uomini, che hanno servito la cosa pubblica in modo da favorire il bene comune. Vorrei anche salutare quanti sono nella sofferenza e nel dolore e tutte le persone che in qualunque modo sono provate: particolarmente gli anziani, i malati, i disabili, le famiglie in crisi e i giovani che sono alla ricerca del senso della vita, della giustizia e della pace.
La Chiesa, in questo contesto, ha un significativo ruolo da svolgere, purché seguiti ad essere contigua a ciascuno, rispettosa delle diversità, forte della propria identità, capace di umiltà. Tocca innanzitutto ai cristiani il ruolo dell’esempio. In mezzo alle case degli uomini, alla Chiesa tocca di fare da torre, come i campanili che punteggiano le nostre valli. Tocca alle comunità cristiane tener viva dentro la città dell’uomo il senso e la prospettiva del soprannaturale. Con discrezione, ma anche con coraggio, è nostro ruolo ricordare a tutti che appartiene ad ogni uomo d’essere figlio di Dio e di misurarsi con le realtà che superano il tempo.
Credo che sia parte del nostro servizio da rendere all’uomo tenere viva la speranza dentro le varie identità della Regione. La Chiesa farà il suo ruolo senza vantarsi e senza fasti, favorirà ogni aggregazione mettendosi al servizio. Tanto conviene fare verso le famiglie, verso le forze sociali, verso le istituzioni, ma soprattutto verso l’uomo – gli uomini e le donne del nostro tempo – che hanno diritto a trovare in noi l’apertura verso il futuro e la voglia di impegno a fare cultura insieme. La via della carità è certamente l’elemento che rende credibile il nostro proposito e fa passare, dal sogno alla realtà, il progetto che da sempre teniamo nel cuore. Alle Chiesa tocca anche di far da collante, per favorire l’unità e la concordia e spingere tutti alla ricerca del senso delle cose. E’ un compito che possiamo rendere all’intera società, anche in questa bellissima fase della storia, dove, mutandosi i luoghi comuni e le certezze, c’è rinnovato spazio per “gli uomini liberi e forti”. Ci appartiene il ruolo delicatissimo e bello di essere fautori dell’unità. Le differenze arricchiscono, sono proposte: appartengono da sempre alla nostra storia, certamente sono una ricchezza per un futuro comune. Le divisioni e le contrapposizioni fanno perdere, anche nella nostra Toscana, quel ruolo pieno di fascino, quella qualità guadagnata nel tempo, d’essere il luogo di laicità matura, dove si sono elaborate tante storie, senza le quali l’Italia sarebbe diversa da come è.

+ Riccardo Fontana
Arcivescovo