Festa di San Donato 2022

Omelia dell'Arcivescovo in Pieve
07-08-2022

La Pieve di Santa Maria dove siamo a celebrare è l’ecclesia plebana, cioè la chiesa del popolo aretino. Questa è l’identità della nostra storia collettiva. Il giorno di san Donato mi sembra opportuno fare tre brevi riflessioni sul patrimonio che san Donato ci ha lasciato.

La prima considerazione è sull’identità del Pastore. Il profeta ci ha detto che ci sono Pastori ai quali non importa delle pecore. Il buon pastore Donato fu ucciso perché era scomodo. Predicava il Vangelo, aveva un’attenzione forte verso la sua gente. La Passio del VI secolo ci dice che c’era un gran concorso di popolo intorno a lui per scoprire l’attrattiva di questo vecchio uomo che seguitava a predicare il Vangelo. Qual è il ruolo del Pastore? La cieca Siranna, che è contemporanea di ogni generazione, ritiene di non avere bisogno di niente, ha i soldi. Alla maniera antica, a Donato risponde di avere ziri pieni di olio nelle sue cantine. Ma con i soldi non si costruisce la Chiesa. Dio ci liberi da Pastori attenti a badare a se stessi, che cercano il successo e l’applauso della gente. In questo tempo complesso, se anche noi, in questa bellissima città, ci lasciamo tentare dal plauso mediatico, dall’attenzione che si ottiene con le nostre manifestazioni, dalle esteriorità, si viene meno al ruolo che ci è affidato. Ci è chiesto di essere preti, preti davvero, come la nostra storia ne ha ricordati un numero consistente. Personaggi di qualità molto alta, che hanno saputo spendere se stessi per gli altri, non hanno lasciato soldi ai parenti, hanno lasciato ad Arezzo la memoria di un servizio esemplare.

Non è vero che non ci sono preti, ce ne sono sicuramente in abbondanza, a meno che non si voglia far prevalere il ruolo sul servizio. Leggiamo il progetto di Dio che non abbandona mai: se Dio volesse, potrebbe riempirci di vocazioni. In questo momento la Chiesa aretina è davvero arricchita dalla risposta dei giovani.

Da ultimo una riflessione la dobbiamo fare sulla nostra Chiesa diocesana che è bellissima e particolarmente estesa. Certamente chi ha deciso di farla diventare la dodicesima d’Italia per estensione credo che abbia avuto una responsabilità terribile perché da Dese di Sestino fino a Madonna a Brolio, dai confini con Firenze, fino al Lago Trasimeno, è tanto spazio. Ma la gente, prima di tutto la gente. Una Chiesa che si fa carico delle tre funzioni che il Vaticano II attribuisce al sacro ministero. Il dovere della predicazione, che non sia mai sciatta, una predicazione intensa, qualificata, con un linguaggio opportuno, comprensibile a tutti, ma ricco di teologia. I moralismi non servono alla gente del nostro tempo. Serve invece di riscoprire Gesù. Poi il dovere di guidare il popolo di Dio. La Passio annota la tradizione popolare per cui il sacro ministero di Donato suscita curiosità. Mentre il diacono resta esterrefatto perché la pressione di popolo gli ha fatto cadere il calice di vetro, Donato calma tutti e dice una parola eccezionale: “Dio provvede, non vi disperate”. E credo che sia in questo senso da fare un’ultima riflessione sul senso di questa Chiesa. Il calice rotto, miei amici, è la città di Arezzo nella misura che si lascia incantare da posizioni conflittati l’una con l’altra, se dividiamo Arezzo non si conta più nulla. Si perde perfino il dono di Dio. Si infrange il calice. Non una Chiesa di Paolo, di Apollo, di chi altro, ma la Chiesa di Gesù Cristo, tutti uniti. Dobbiamo, noi preti, tornare a dare stima a tutto il nostro presbiterio che serve come sa e come può, in questa enorme storia ecclesiale.

Credo che bisogna che anche il popolo si renda conto che esiste una funzione politica che non è eludibile. Votate come vi pare, ma non spezzate Arezzo. Bisogna puntare al bene comune, questo è l’insegnamento che ci viene da san Donato, che accetta che gli venga tagliata la testa, ma non dimette il suo ruolo di vescovo. È molto significativo, ci ho fatto una qualche riflessione in più in questi giorni, sull’Arca in Duomo, dove sono custoditi abbondanti resti del corpo di Donato: il lapicida trecentesco raffigura il boia che taglia la testa a Donato, il quale non dimette la mitria: è il vescovo. Vale la pena morire per la Chiesa di Gesù, vale la pena morire per la Santa Chiesa che è in Arezzo. È bellissima, ricca di santi nella sua storia e di speranze per il suo futuro.