Epifania del Signore

Omelia dell'Arcivescovo nella Chiesa Cattedrale
06-01-2021

Venerati fratelli nell’Episcopato figli di questa Chiesa diocesana,

Cari sacerdoti del nostro presbiterio,

Diaconi e Ministri qua convenuti:

Il Signore ci dia gioia in questo giorno

Nel quale il popolo di Dio ha voluto farsi presente nella Chiesa Cattedrale

Rappresentando idealmente tutta la Diocesi

 

  1. Epifania, manifestazione del Cristo e della Chiesa

I Re Magi trovarono Gesù, scrutando le stelle. Anche il nostro tempo conosce un grande numero di persone in cerca del senso della vita, orientate potenzialmente a incontrare il Signore.

I Magi, da Oriente giunti a Betlemme, costituiscono le primizie del grande pellegrinaggio della fede, che procede, di generazione in generazione, avvicinando gli uomini a Cristo luce del mondo.

La Chiesa ha la missione di incontrare tutti. Vi sono quelli che hanno la Grazia, fin dall’infanzia, di avere esperienza di Dio, che è il tesoro della Chiesa. Più complesso è non escludere nessuno, malgrado la tentazione di trovare ovunque nemici. La Scrittura ci insegna che uno solo è il nemico, tutti gli altri sono fratelli, ai quali proporre il Vangelo del Signore, per il loro cammino.

La Chiesa del nostro tempo deve saper intercettare nelle incertezze della cultura liquida, descritta da significativi pensatori contemporanei, i linguaggi giusti e le occasioni opportune per dialogare con gli uomini e le donne alla ricerca di Dio.

Credo che lo stile giusto sia quello predicato da San Paolo sull’Areopago[1]. La nostra delicatezza di Apostoli, umili pellegrini insieme ai tanti abitanti della Terra, non ha strategie pastorali, non si avvale di opportunismi e neppure della ricerca del consenso. Ha, invece, rispetto verso tutti e non vuole prevaricare alcuno. Si fonda sul coraggio di “dare ragione della propria speranza[2].

Quando il mio antico professore Carlo Maria Martini entrò, per la prima volta, da Arcivescovo a Milano, portò con sé in mano solo il Vangelo di Gesù, nella certezza che lo Spirito Santo sostiene la ricerca dei più, qualche volta servendosi del nostro ministero.

Oro, incenso e mirra, nella interpretazione dei Padri, significano la regalità di Cristo, cioè che Dio ha un progetto d’amore per rimettere insieme tutta l’umanità.

Sono tanti, anche tra i non cattolici, coloro che riconoscono la divinità del Cristo nostro Signore, talvolta per vie non consuete nella nostra Chiesa, affascinati dalla persona di lui, dalla qualità del suo insegnamento, dalla coerenza della sua passione. Se riuscissimo a proporre il Signore senza il peso delle strutture della storia, troveremo facilmente attenzione in quella parte non indifferente dell’Islam contemporaneo.

La mirra delle sepolture esprime che, senza sacrificare qualcosa, anche nelle rinunce di questo oscuro tempo di pandemia, non si esce dalla cultura pagana se non si propone un nuovo umanesimo cristiano, Evangelium sine glossa predicato da San Francesco e dai Santi riformatori della Chiesa medievale.

I Santi Magi sono l’icona dell’incontro sempre possibile con il mondo che “viene da lontano”, ma è interessato alla ricerca del buono, del giusto e del bello. La Chiesa è chiamata ad accogliere tutti, a mostrare Gesù come Maria, la Madre di Dio, e come Giuseppe, custode del Signore e del suo progetto.

 

 

  1. Il Rapporto Chiesa mondo, la Chiesa aggregata per comunità e ministeri

La Dottrina agostiniana dell’Ecclesiologia di Comunione, con il Concilio Vaticano II, tornò ad essere un irrinunziabile punto di riferimento. Nella Chiesa non ci sono spettatori, ciascuno di noi ha un ruolo, una vocazione.

Già i Padri Apostolici, nell’analogia tra Chiesa ed Eucarestia, affermano che non si dà il pane se non dopo aver raccolto, macinato e reso compatto con l’acqua il pane che comunque, per essere pronto a sfamare, deve passare attraverso il fuoco.

Sant’Agostino, illustrando l’Eucarestia e spiegando la Chiesa, insegna “voi stessi siete quel che ricevete[3].

Venticinque anni fa, in questo stesso giorno, Papa Giovanni Paolo, prima di ordinarci Vescovi, ci esortava a ricordare: “con l’Episcopato, carissimi fratelli, Voi diventate in pienezza custodi del Grande Mistero, Amministratori di quella Rivelazione di cui parla Paolo nella Lettera agli Efesini… Ogni Vescovo è Ministro dei Misteri di Dio… nel quale Dio rivela se stesso, si avvicina agli uomini, li cerca, conduce ciascuno nella Comunità della Chiesa sul cammino della fede[4].

Anche oggi, custodire il Mistero non significa nasconderlo, ma trasmetterlo in risposta alla vocazione alla fede di tutti i popoli della Terra. La complessità del Ministero del Vescovo è di trovare, assieme al suo Presbiterio e alla Chiesa che gli è affidata, i modi, i tempi, il linguaggio giusto per avvicinare gli uomini del nostro tempo e far scoprire loro che Dio è vicino.

Già Isaia Profeta ci avverte che lo Spirito Santo muove i cuori di ogni generazione e ci invita a guardare con coraggio la realtà, perché Dio si fa presente alle interiorità delle persone e, ancor prima che arriviamo noi, infrange i muri del pregiudizio e costruisce i ponti. La Chiesa è un sistema infinito di relazioni, di dialogo, perché è frutto della Parola.

A noi che annunziamo il Vangelo, ci è solo chiesto di accogliere: “I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio[5].

Il Santo Vescovo di Roma che mi ha ordinato, mettendo in pratica i principi di Gaudium et Spes ci ha mostrato nei fatti che il rapporto tra la Chiesa e la comunità umana non devono essere necessariamente conflittuali, anzi, nella ricerca della verità che appartiene a tutti gli uomini e le donne dabbene, dobbiamo ritrovare la via dell’unità. Come insegna l’Aquinate, “Sacerdos propter populum[6]. Non una Chiesa autoreferenziale che giudica e sentenzia, ma popolo di Dio che aggrega con l’esempio, convince con l’Annunzio della parola bella, l’Evangelo che indica, come possibile, un mondo migliore.

Con ventiquattro Vescovi ordinati insieme a me siamo cresciuti con questa missione da realizzare, che significa necessariamente cambiamento, nei discorsi programmatici dei Papi, ma anche nel rinnovamento di ogni Chiesa particolare che è lo specifico dovere del Vescovo. Occorre apprezzare tutto: i Padri hanno fatto giungere fino a noi la fede, ma la Chiesa ci chiede di far fiorire i doni dello Spirito nel servizio quotidiano, “non recuso laborem”, come disse Martino di Tours, pur stanco delle fatiche, ma desideroso di completare l’opera che Dio gli aveva affidato.

Papa Giovanni Paolo, che ebbi l’onore di servire per molti anni, a tutti noi Vescovi appena ordinati chiese di non cercare l’applauso, il successo personale, ma, piuttosto, di guidare il popolo sulla faticosa via del rinnovamento.

Dopo avermi consegnato il pastorale con la formula di rito “Regere et gubernare Ecclesiam Dei[7], conoscendomi personalmente, mi dette un mandato: “fallo, che lo sai fare!”. Tutte le volte che è stato necessario andare controcorrente, mi sono tornate alla mente le parole del Santo che mi ha fatto Vescovo.

  1. San Giovanni Paolo II e il mio servizio nella Chiesa

In questi ultimi giorni, mi sono tornate alla luce alcune immagini della mia presenza all’aratro, nel Santo campicello del Signore accanto alla gente.

Uscendo da Pisa, mia Chiesa madre, raccolsi come icona del mio servizio la formella che, nella porta di San Ranieri, Bonanno Pisano aveva dedicato alla lavanda dei piedi. Forse non sono riuscito a essergli sempre fedele, ma l’intenzione era quella della prossimità alla gente, ai piccoli, ai poveri, ai malati e ai senza lavoro.

Molti ricordi mi tornano alla mente: il 26 settembre 1997, nel cuore della notte, in mezzo ai terremotati di Verchiano; la mensa e il dormitorio a Spoleto e la fattoria della Misericordia ad Eggi per provare a dar da mangiare a chi non aveva nulla; la presenza in Macedonia e in Kosovo, durante la guerra, in fraternità con il Vescovo Marco che reggeva quella Chiesa; in Thailandia per conto di Caritas Italiana in aiuto delle vittime dello tsunami; tante volte a Gerusalemme e in Palestina con la Holy Land Coordination, rappresentando i Vescovi italiani, in quel luogo dove la pace non riesce a durate; quando, arrivato ad Arezzo, al Sindaco che mi accoglieva in Piazza chiesi la cittadinanza. Non fu un gesto formale, ma la scelta di mettermi dalla parte degli immigrati, assieme all’impegno di spendere i soldi per attivare servizi, perché fosse chiaro che la Chiesa punta sul lavoro.

La Caritas, in questi anni, è stata la pupilla dell’occhio. Con l’aiuto di Papa Francesco, le Case Amoris Lætitia sono diventate realtà, assieme agli oratori e alle Unità Pastorali.

Ringrazio Dio per avermi voluto partecipe del sacerdozio di Cristo e successore degli Apostoli. La centralità della Parola di Dio e la piena sintonia con il Vescovo di Roma sono le mie gioie, accanto alla consapevolezza di quanto purtroppo sono inadeguato come Ministro della Misericordia assieme a un Presbiterio bello e multiforme, che assicura la vicinanza alla gente, la vita sacramentale e anche la ripresa di una cultura significativa nella preparazione presso le Università Pontificie e nella condivisione della vita dei poveri.

La luce di Cristo illumina il cammino di questa Chiesa che è bellissima, anche se costretta a misurarsi con sfide dure e comuni con le Chiese sorelle.

La scelta, raccomandata dal Papa, di puntare sul laicato ha generato il nostro Sinodo i cui frutti sempre più risplendono, con l’impegno di molti e la condivisione di una Chiesa fondata sulla comunione.

Talvolta tocca camminare in mezzo alla notte di cui Isaia 62 ci ha parlato, ma risuona comunque il grido dei pastori, dei Magi e di tutti i credenti in ogni epoca: “Christus apparuit nobis, venite adoremus!”.

[1] Cfr. At 17, 22

[2] 1Pt 3, 15

[3] Sant’Agostino, Sermone 229/a, 1-2

[4] San Giovanni Paolo II, omelia all’Ordinazione Episcopale nella Solennità dell’Epifania, 6 gennaio 1996

[5] Is 60, 4

[6] S.Th.Aquin. S.Th. III, q.82, a.3  «sacerdos constituitur medius inter Deum et populum. Unde, sicut ad eum pertinet dona populi Deo offerre, ita ad eum pertinet dona sanctificata divinitus populo tradere».

[7] Pontificale Romano, Ordinazione del Vescovo, n.59