Battesimo del Signore. Omelia del nostro Arcivescovo

10-01-2016
Il fiume Giordano che scorre, Giovanni che battezza quanti vogliono essere diversi dalla mentalità corrente, Gesù che si mette in fila con il popolo ma è riconosciuto da Giovanni. Dio Padre che dà la testimonianza al Figlio prediletto: lo Spirito che come colomba che scende sul capo di Cristo ne suggella la missione.

1.Dio e l’uomo non riescono ad essere mai indifferenti
         Il rapporto tra l’uomo e Dio è un tema che non è possibile rimuovere dall’esperienza umana. Neppure il peccato riesce a sconvolgere il progetto di Dio. Chi si proclama ateo rischia di cedere al mito della cultura, come l’antico Prometeo, ma per questo non cessa di essere figlio di Dio. Tantomeno la moltitudine distratta del nostro tempo, catturata dalla semplificazione informatica, ma poco pratica di interiorizzazione. 
                   La voglia dell’uomo di ricercare la giustizia sostiene il fascino perenne del bene: pur di fare il bene acquista fascino anche donare la vita per amore degli altri. Ogni madre sa che partorendo rischia, ma volentieri dà la vita alla sua creatura, pur in mezzo al dolore. Già gli antichi chiamarono eroi i giovani caduti per la patria e il compianto non manca a chi accettò di morire a 20 anni.

         Molti cristiani rimasero impavidi di fronte alla violenza che li privò della vita, come Lorentino e Pergentino, protomartiri della Chiesa aretina.  Il tema è di straordinaria attualità anche nel nostro tempo. Il diritto della coscienza è la forza che ha sovvertito tutte le dittature del male: il vangelo predicato agli oppressi dona la forza di resistere.
                   Il ruolo del popolo di Dio, eletto al ruolo di manifestare la provvidenza, è la ringhiera che non cessa di sostenere tutta la famiglia umana nelle tempeste della storia. Israele fa esperienza di Dio attraverso la categoria della liberazione: liberati dal nulla con la creazione, dalla schiavitù con l’esodo, dal peccato con i profeti.
                   La meraviglia di Dio che si cura dell’uomo è la ragione più profonda dell’antropologia: “Che cosa è l’uomo perché te ne curi?”[1] .Trova la sua piena ragion d’essere con l’Emmanuele. Dio vedendo che l’uomo da solo non riusciva a venire a capo delle conseguenze del peccato ha, mandato il suo Figlio Gesù a immargersi, coinvolgersi, nella vicenda umana per riscattarla per la via dell’umiltà, della croce, della pazienza fiduciuosa che Dio non abbandona. Questa è  l’esperienza del “Dio con noi”, l’Emanuele, con cui la Chiesa conclude quest’oggi il tempo di Natale, con il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano.
2.Dio solidale con l’uomo
         Il cammino dell’uomo verso Dio e il cammino di Dio verso l’uomo si uniscono nella persona e nella missione di Gesù, che è rivelata nella teofania del Giordano. Il battesimo è l’esperienza del coinvolgimento e della purificazione: la sete della giustizia fa uscire molti dal quotidiano, dalla città, e fa andare nel deserto, la introspezione, dove ciascuno scruta se stesso, si assume le proprie responsabilità e, con ciò stesso prende le distanze dal peccato, si purifica.
         Il tema della festa di oggi è come dare efficacia al desiderio umano di coscienza e di purificazione: come una autocritica diventa efficace per l’aiuto di Dio. Questo è il tema del binomio Giovanni – Gesù, della denunzia del profeta e del coinvolgimento risolutivo del nuovo Adamo. Giovanni, il profeta, annunzia la novità dell’esperienza del Cristo, dicendo che Gesù è più forte, la forza di Dio che riesce in ciò che noi falliamo. Battezzare, cioè immergere coinvolgere la persona con acqua è un gesto significativo del bisogno della giustizia-purificazione: un proposito, un auspicio.
         Gesù che battezza, immerge, coinvolgere la persona con lo Spirito di Dio che è Santo, cioè essenzialmente “altro”, [agios] senza fango, senza contaminazione con il peccato è l’alternativa, dono di Dio, suo intervento che trasforma, come diciamo affermando il carattere battesimale che cambia la persona umana, la fa nuova: “faccio nuove tutte le cose”[2].
         Gesù, il figlio prediletto di Dio che apre i cieli, è motivo di compiacimento per Dio. E’ la vittoria dell’uomo, di ogni uomo, con la forza di Dio. Per questo Gesù è “più forte di me” [ o iscuroteros mou][3]. Di lui ci possiamo fidare perché ha accorciato la distanza tra Dio e l’uomo, ha coinvolto Dio nella storia dell’uomo. L’annunzio cristiano del “cielo che si apre”[4] è la vera grande novità: la buona novella, la bella notizia da annunziare anche a questa generazione.
3.Santo perché coinvolto
         La Chiesa aretina ricorda quest’oggi, giorno del suo pio transito da questa città al Paradiso, un cristiano speciale. Gregorio X volle i vescovi vicino alla gente e donò il necessario per costruire questa splendida cattedrale dentro le mura urbiche. Il Papa che qui attende la Resurrezione ci interpella ancora oggi sull’opera della Chiesa e l’incidenza della fede nella nostra città. Questo è il senso della celebrazione odierna.
         Tedaldo Visconti, piacentino, ebbe la ventura di vivere in un periodo complesso e difficile. A lui toccò, negli anni in cui resse la Chiesa romana, di portare un raggio di luce, un segno di pace, rinnovato entusiasmo per l’impegno dei cristiani nel mondo. Centottantaquattresimo Papa della Chiesa cattolica, fu eletto ben dopo 1003 giorni dalla morte del suo predecessore. I Cardinali a Viterbo non trovarono un accordo finché non elessero Tedaldo, neppure sacerdote, però noto nella Christianitas medievalis per il suo zelo, la sua probità e la santa vita messa al servizio del Vangelo. Tedaldo, aveva svolto per anni la missione di mediatore, per comporre le liti, scongiurare le guerre, difendere i più deboli, finché non toccò a lui in prima persona esporsi e operare per il bene comune. Per difendere la Chiesa aveva viaggiato per moltissimi anni. Era in Terra Santa, ideale riferimento alla santa umanità del Signore, luogo teologico del cristocentrismo medievale, quando gli arrivò la notizia che il primo settembre del 1271 i cardinali lo avevano votato Papa. Fu sconvolto, ma per fede si lasciò coinvolgere. Corse a Gerusalemme e nella preghiera si fece carico del Sommo Pontificato, per amore di Gesù. E lo fece davvero per amore del Signore! Gerusalemme diventò il riferimento della sua storia, non per le vaghe ragioni della politica, ma per ricomporre l’unità della Chiesa, in un tempo in cui i “Principi cristiani”, ma forse cristiani non lo erano più di quanto vediamo oggi, tendevano più ad affermare i propri interessi che a improntare la società sul modello evangelico.  La santità di Gregorio X contribuì in modo significativo a ricompattare la Chiesa, a misurarsi, attraverso la terra del Signore che anche allora era sconvolta da mille sofferenze come ora, con la propria identità: attraverso la umanità del Signore, fare verità nella propria vita e nella edificazione del Regno di Dio. Fece voto. Prima di lasciare la Terra Santa si ricorda che, sui ritmi del Salmo 136 abbia giurato: “Mi si attacchi la lingua al mio palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”[5]. Da allora, per il resto della sua vita, la terra di Gesù e ciò che essa significa – Gesù vivo, risorto, presente in mezzo a noi – divenne il riferimento immediato del suo ministero. Si impegnò con tutte le forze a ricomporre le divisioni e gli riuscì persino di rimettere insieme con noi, per qualche tempo, la Chiesa d’Oriente, divisa da Roma nelle ferite dello scisma! Mi sono profondamente commosso quando Bartolomeo, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, il 20 ottobre scorso, si è fermato in preghiera di fronte alle spoglie mortali di questo grande Papa. L’attualità del messaggio è palese. La sfida anche per questa nostra comunità aretina è esaltante e aiuta a recuperare le grandi vedute che ci porteranno fuori dalle difficoltà del presente. Gregorio X è il Papa di Marco Polo e del primo contatto la Chiesa e la Cina. Per le nostre piazza passarono queste misure e ci danno ancor oggi coraggio. Predicare il Vangelo ad ogni creatura, “purchè…in ogni maniera Cristo venga annunziato[6]” è un programma di vita che si fonda sulla certezza che i valori cristiani hanno una intrinseca capacità di risanare la città dell’uomo. Da Beato Gregorio vogliamo anche noi imparare che le diversità sono una ricchezza; solo le divisioni sono opera del maligno. Le relazioni anche con le culture più lontane sono una risorsa, l’accoglienza degli altri una via da percorrere. Il tema ha ancora una grande attualità nella nostra terra e ci induce a riflessioni che meritano di essere privilegiate, laddove si cerchi davvero il bene comune e la difesa dei più piccoli.
         Gregorio X con coraggio si mise alla difesa dei poveri. Mise la scomunica a chi avesse provato a fare l’usura, che è un male terribile, sempre in agguato. Quando l’economia si fa incurante dei bisogni dei piccoli, quando si mina la sopravvivenza dei meno abbienti e, pur di raggiungere i propri scopi, si ignora il disagio delle fasce più deboli della società non vi può essere la benedizione del Signore.
         Nel secolo XIII come oggi la sfida per i cristiani intenti al bene comune è praticare la via del Vangelo, non solo parlarne. Il Papa che veneriamo per la sua santità ci insegna il dialogo e l’apertura verso il mondo: la nostra missione è quella di evangelizzare, non di condannare. Ci insegna a non avere paura, pur di annunziare Gesù! I santi ci insegnano a svegliarci, a uscire dal sonno, ad avere il coraggio delle riforme, il coraggio del nuovo. Il resto viene con certezza, perché dietro c’è il Signore con la sua potenza. La gloria di Dio risplende davvero nei suoi Santi. Come a loro, anche a noi battezzati, cioè coinvolti con Cristo nello Spirito Santo, tocca di fare lo stesso.
[1] Sal 8,5
[2] Apoc 21,5
[3] Lc 3,16
[4] Lc 3,21
[5] Sal 136,6
[6] Fil 1,18