Prima Domenica d’Avvento 2020
70° Giornata del Ringraziamento
Omelia dell’Arcivescovo nella Basilica di San Francesco
Fratelli e sorelle nel Signore:
Iddio ci dia pace in questo giorno nel quale avviamo il cammino d’Avvento
con un atto di profonda gratitudine.
- Ecologia dello spirito per un rinnovato sviluppo del comparto agricolo
La 70esima Giornata del Ringraziamento, è un’occasione particolarmente significativa in questa Provincia aretina, che vanta una lunga e importante attenzione alla terra. Per l’impegno profuso nei decenni, il mondo agricolo ancor oggi impiega 8.214 lavoratori.
Le radici comuni che costituiscono la memoria collettiva di questo popolo ci inducono a ringraziare il Signore, in questa Basilica che, fuori dell’Umbria, che è la chiesa più antica al mondo dedicata a San Francesco, cantore di Dio e delle creature: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”[1].
Il poverello d’Assisi – e da lui lo spirito francescano di semplicità e umiltà, parte irrinunziabile dell’identità della Chiesa aretina – ancor oggi è elemento indispensabile per comprendere l’amore alla terra di questo popolo.
Vogliamo ricordare gli uomini e le donne che, attraverso il lavoro dei campi, hanno contribuito a far grande la nostra Regione. A loro va la nostra gratitudine per alcune eccellenze come il fascinoso mondo del vino e l’inequivocabile profumo del nostro olio. Ma c’è di più. È doveroso non dimenticare gli antenati che, con il loro sacrificato impegno quotidiano, hanno dato qualità e prestigio alla nostra agricoltura, rendendo ad un tempo possibile a figli e nipoti di praticare l’impegno sociale e la consapevolezza che l’uomo vale molto di più di quello che produce.
Desidero ringraziare gli amici della Coldiretti, che si sono fatti carico dell’organizzazione di questa Giornata speciale. È l’occasione per ribadire che, per ottenere risultati significativi, occorre tenere alte le motivazioni interiori delle persone.
La cultura che ha generato l’ordinata economia agricola nella terra aretina fu per secoli scandita dal benedettino ritmo monastico delle campane, che richiamano la presenza di Dio, la dimensione soprannaturale della fatica, il valore cristiano della famiglia, la qualità della cultura solidale, attenta ai valori dell’onestà e della qualità umana.
Per secoli il lavoro nei campi è stato interrotto dall’Angelus Domini, la preghiera del Frate aretino che qui accanto riposa, il Beato Benedetto Sinigardi. La compose e diffuse in tutta Europa: era il ricordo quotidiano della Salvezza di Cristo, ma anche il rispetto per i diritti dell’uomo che lavora e che ha diritto al riposo.
Mi piace ricordare il Vescovo Giuseppe Ippoliti, mio predecessore in Cortona, che con una celebre lettera pastorale del 1760, chiedeva giustizia per i contadini e rispetto per le persone dei lavoratori e fu violentemente attaccato dai potenti dell’epoca.
A San Benedetto e a San Francesco, geniali profeti della vicina Umbria, tutto il mondo dell’agricoltura deve riconoscenza: all’uno per il metodo con cui scandire il tempo, all’altro per la poesia, che ancora affascina la vicinanza alla terra e fa praticare risorse anche economiche in passato insperabili.
L’Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco non avrebbe avuto il larghissimo riconoscimento che i Media ci hanno attestato se non si sentisse il bisogno di ripensare a quell’ecologia dello Spirito, che genera il rispetto per la terra e l’attenzione che si sta lavorando per la tutela del pianeta e dell’uomo.
- Il coraggio dei cristiani e degli uomini di buona volontà
La 70esima Giornata del Ringraziamento vuole donarci ulteriore motivazione per contribuire alla crescita e assicurare stabilità e sviluppo al lavoro, in questo tempo difficile di pandemia: oltre alle iniziative economiche e tecniche è necessario rimotivare la collaborazione tra quanti hanno specifiche competenze per realizzare iniziative condivise, come una piattaforma logistica per lo stoccaggio dei prodotti, la promozione di politiche di filiera, l’incentivazione dell’agro-biodiversità, nella tutela del paesaggio rurale, delle produzioni tipiche e dell’agriturismo, soprattutto in questo tempo difficile.
Ma le cose materiali non bastano. Siamo riuniti in questa basilica per chiedere a Dio di concedere ancora, nelle mutate situazioni del mondo agricolo, la certezza che operare insieme dà coraggio e forza. Con l’aiuto di Dio possiamo ritrovare il coraggio che fu dei nostri padri. Settanta anni fa, nel 1950 veniva varata la riforma agraria, per opera del governo De Gasperi e di personaggi ‘illuminati’ come il fondatore della Coldiretti Paolo Bonomi e il nostro Amintore Fanfani. Fu La più grande redistribuzione di ricchezza mai avvenuta in Italia. Fu trasferito a oltre un milione di contadini, mezzadri, braccianti e affittuari, attorno a 3,6 milioni di ettari incolti o mal coltivati. Una riforma che è stata una grande operazione di democrazia economica.
Se ci liberassimo dell’egoismo non cristiano di temere i lavoratori, poveri e volonterosi, giunti in Italia per fame e per guerre, valorizzando le motivazioni della carità, potremmo aiutare ancora questa Provincia e il Paese a uscire da una impasse complessa. Potrebbero essere i doni dei pastorelli di oggi alla grotta di Betlemme per un presepio non solo di carta e di cartone.
Tra le antiche tradizioni cristiane, amiamo ricordare il cammino d’Avvento che oggi si avvia, la prima delle quattro settimane per misurarci con il Natale di Cristo. Vogliamo tornare all’ascolto della Creazione stessa “che attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio” [1] .
Con umiltà ci poniamo accanto a Israele antico che, cantando Betlemme il cui nome significa “Città del pane”, si pone in attesa del Messia. Anche questo tempo ha bisogno di Dio.
Poniamo davanti all’altare di questa Basilica il nostro desiderio di non sciupare, anche a livello comunitario, il cammino interiore per ritrovare Gesù, con l’aiuto di San Francesco e del suo presepe, che fu un moto di popolo, per ritrovare Gesù, mirabilmente descritto da fra’ Tommaso da Celano[2].
Non bastano le statuine di gesso e i paesaggi di cartone della nostra infanzia. Occorre fare un viaggio vero, interiore, profondo fino a incontrare il Signore.
Questi sono i sentimenti con i quali ci rivolgiamo a quanti incontreremo durante l’ideale percorso d’avvento, che è fatto di accoglienza verso tutti, di far rivivere l’eco della Parola di Dio e di preghiera nella nostra interiorità e di preghiera.
Questo è il tempo giusto per meditare sulle due venute del Signore: vero uomo e vero Dio. Due venute come duplice è la natura di Cristo: “Come pioggia sul vello“[3] a Betlemme, come “Signore della Gloria“[4] alla fine del tempo. Celebrare i divini misteri esprime la sacramentalità della Chiesa: altro ciò che appare, altro ciò che sarà. Dalla liturgia siamo invitati a misurarci tra il “già” e il “non ancora”.
Sappiamo tutti di Betlemme, ma anche quella rischia di essere una storia lontana, come nell’infanzia interiore che c’è in ognuno di noi, una storia lontana che si sfilaccia nel tessuto della memoria e di cui non ci curiamo più di tanto. Ecco la funzione del Presepio: il messaggio di S. Francesco è diventare noi stessi personaggi in cammino; il messaggio di Sant’Alfonso: “Tu scendi dalle stelle al freddo e al gelo“. Non mancate di mettere questi personaggi nel presepio che costruirete nelle vostre case: solo così sarà cristiano.
Occorre tornare a misurarci con il presente. Francisco de Victoria pone tra i “loca teologica” i giornali, che vanno letti da cristiani: “…tutti siamo avvizziti come foglie e le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento…” [5].
Il peso del peccato sociale incombe nel momento attuale sulla comunità umana di cui facciamo parte; si percepisce l’assurdo di una situazione epicemica terribile: sopravviene, diffuso, un bisogno di cambiamento.
Ma tale condizione di male non è “eroica”, non è solo dei “grandi”, ma di tutti, finché non eliminiamo da noi stessi e dall’uomo comune le stesse componenti di peccato: materialismo, profitto, competizione, violenza, malignità, ingiustizia. Dobbiamo resistere alla tentazione di incolpare sempre gli altri.
La Parola ci propone oggi il recupero del senso di Dio, come Padre Redentore (=che paga il riscatto): “…tu sei nostro padre…perché ci lasci vagare lontano? …abbiamo peccato contro di te e siamo stati ribelli…nessuno invocava il tuo nome…ritorna…curati di noi…tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che le dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani…“[6].
La fede ci fa essere certi che c’è un “non ancora” al momento non visto ma che attendiamo con fiducia. Gesù verrà nella gloria, Signore e giudice. Il progetto del mondo è di Dio e “giustizia” è rispettare il piano di Dio sulla storia: ognuno nel suo ambito, secondo la sua misura. La certezza del giudizio fa parte della virtù della speranza: “iudex ergo cum sedebit, quidquid later apparebit, nihil inultum remanebit”[7].
La virtù dell’Avvento è la perseveranza. La parabola del viaggiatore che lascia casa ai suoi servi ci ricordi che siamo assunti per lavorare in questo mondo, non ne siamo i padroni, bisogna dunque: Avere lo sguardo al ‘terminus’:”…Aspettare la manifestazione”, praticando una operosa solidarietà:”…a ciascuno il suo compito…”, Riscoprire la responsabilità.
- Le tre consegne della Chiesa per valorizzare il tempo di avvento
Ricordiamoci del presepe di Betlemme per rallegrarci che Dio ci viene ancora incontro, senza badare all’umiliazione e alla sofferenza che gli è inflitta dalla indifferenza della gente, pari a quella che provoca chi si disinteressa dei più poveri del mondo.
Dio ci ha riempito di doni: “…la testimonianza di Cristo s’è stabilita tra voi così saldamente, che nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo”[8]
Come dice un testo della chiesa greca, abbiamo con noi la compagnia dei santi “che guidano la danza per la nascita del Salvatore” (tropaion bizantino): Isaia e lo stuolo dei profeti, la schiera dei martiri, Giovanni Battista e i nostri Martiri, Benedetto, Francesco, Rita, Santa Maria, la Madre di Dio.
Ci è proposto un cammino di 4 settimane per accogliere il Signore nella fede: “…lo accogliamo nella fede”[9] sotto i veli del sacramento. L’Avvento è tempo di ascolto della Parola di Dio nella meditazione personale quotidiana E’ tempo di preghiera: Il salmo preghiera della settimana.
E’ tempo di conversione e di riconciliazione: un piccolo sacrificio al giorno per essere più lesti nell’accogliere Gesù. E’ tempo di confessarsi, per liberarci con il perdono di Dio dal peso del male che ci sovrasta. Aspettiamo la sua venuta nella gloria praticando la sua carità: La carità nei rapporti personali ci induce a ricucire tutti gli strappi, le divisioni, le incomprensioni, le superbie…
La carità come vicinanza ai più poveri della città: la mensa, il dormitorio,…La carità verso i lontani che hanno sete: l’impegno della nostra Chiesa aretina a scavare alcuni pozzi in Tanzania. Con poca fatica possiamo togliere la sete a molti bambini e la fatica agli adulti attualmente costretti a fare ogni giorno molta strada per provvedere un po’ acqua per la famiglia.
L’avvento è tempo di carità verso noi stessi: è l’esperienza del tempo d’avvento, pensare a sé. Il Signore certamente ritorna e vuole trovarci preparati, perché si fida di noi.
[1] San Francesco, Cantico delle Creature
[2] Tommaso da Celano, Vita Prima, Cap. XXX, in FF 466-471
[3] Cfr Giud 6,37ss
[4] Cfr Is 62,1-5
[5] Is 64,5
[6] Is 63,16ss
[7] Celano, Dies irae, terzina n°6
[8] I Cor 1,4
[9] Cfr Concilio Vaticano II, Lumen Gentiuim 1