Cattedrale dei Santi Pietro e Donato

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La Cattedrale, che si erge sopra la scalinata costruita tra il 1525 e il 1529 su disegno di Guillame Marcillat, artista francese operante tra Arezzo e Cortona a partire dal 1516, e rinnovata tra il 1780 e il 1798, per essere ultimata intorno al 1810, ha una storia strettamente connessa alle vicende della Chiesa aretina.
Il 26 aprile 1203 papa Innocenzo III ordinò al vescovo Amedeo di trasferire entro le mura cittadine la Cattedrale dedicata a santo Stefano e a santa Maria, la canonica e la residenza vescovile, spostandole dal colle di Pionta, altura dell’Arezzo etrusco-romana e primitiva sede della comunità cristiana aretina. Nel 1203 fu inizialmente elevata a nuova Cattedrale la chiesa, allora benedettina, di San Piero Maggiore. Posto nella parte anteriore dell’attuale struttura, l’antico edificio, del quale si ha memoria già nell’876, fu distrutto al momento in cui si iniziò ad officiare nella nuova Cattedrale. A partire dal 1278 la costruzione del Duomo odierno ha avuto fasi diverse. Nel 1277 fu promulgato il decreto del vescovo Guglielmo degli Ubertini in cui veniva dichiarato di volere innalzare la Cattedrale «a onore di Dio, della Beata Vergine e del patrono san Donato». Un evento importante fu la visita del pontefice Gregorio X, avvenuta il 20 dicembre del 1275, di ritorno dal Concilio di Lione, cui aveva preso parte anche il vescovo aretino. Il Papa, gravemente ammalato, morì ad Arezzo il 10 gennaio lasciando la somma di trenta fiorini d’oro destinati alla nuova Cattedrale. Nel 1289, anno della battaglia di Campaldino, la chiesa, già consacrata, risulta costruita nella parte absidale con le prime due campate. Con la morte del vescovo, avvenuta nello scontro, si arrestarono i lavori che furono ripresi dal successore Guido Tarlati con la costruzione della terza campata e del portale laterale, già concluso nel 1337. Ancora visibile e databile intorno agli stessi anni è la decorazione scultorea con il gruppo di figure modellate in coccio pesto, grandi al vero che occupano la grande lunetta sopra l’architrave. Al centro è la Madonna del Latte, affiancata dal vescovo Donato e da papa Gregorio X. La sua realizzazione è da ritenere pressoché coeva al grande cenotafio del vescovo Guido Tarlati, opera monumentale eseguita dai senesi Agostino di Giovanni e Agnolo di Ventura. Oggi è visibile lungo la parete sinistra, a fianco della porta di sacrestia e della Maddalena di Piero della Francesca, affresco celeberrimo degli anni Sessanta del Quattrocento. Nel 1384 la vendita del Comune aretino alla Signoria di Firenze determinò un’ulteriore interruzione della costruzione del Duomo, nuovamente avviata nel 1471 e conclusa nel 1511. La facciata esterna, rimasta grezza, fu definita nella sua attuale sistemazione tra il 1900 e il 1914, su disegno di Dante Viviani con sculture di Giuseppe Cassioli. Nei primi anni del Seicento, a seguito delle nuove regole legate al Concilio di Trento, fu attuata all’interno un’operazione di ammodernamento con il rinnovo delle cappelle e degli altari su progetto di Teofilo Torri, pittore e architetto aretino.
L’interno, a tre navate, senza transetto, con cinque campate scandite da pilastri a fascio, è caratterizzato da un’abside poligonale. Capolavoro dell’arte vetraria è il ciclo delle sette vetrate del Marcillat, dipinte in due fasi tra il 1516-1517 e il 1522-1524. Al Marcillat spetta anche l’esecuzione delle Storie bibliche dipinte nelle volte delle prime tre campate della navata maggiore e della prima campata della navata laterale sinistra. Le altre della navata maggiore sono di Salvi Castellucci (1660-1663). Monumentale è anche il complesso dell’altare maggiore documentato nel 1362, ma eseguito in momenti diversi relativamente ai tre elementi che lo compongono. L’altare è precedente al 1289 e fu probabilmente consacrato dal vescovo Guglielmino degli Ubertini. La pala marmorea, databile tra il 1364 e il 1375 e alla quale si abbina l’arca di san Donato, è da attribuire a maestranze diverse. Tra i nomi sono documentati quelli di Giovanni di Francesco d’Arezzo e di Betto di Francemadonna_del_confortosco. Il coro ligneo è stato disegnato da Giorgio Vasari nel 1554. All’illustre aretino spetta anche il disegno del basamento dell’organo lungo la navata sinistra. Oggi esso fa da cornice alla Madonna con il Bambino, pregevole scultura lignea della metà del XIII secolo, proveniente forse dall’antica chiesa di San Martino che fino al 1539 sorgeva entro la cittadella di Arezzo, nell’area della Fortezza. Alla figura del vescovo Tarlati si legarono anche in Duomo molte imprese artistiche. Ancora oggi lungo la parete destra è visibile l’affresco della Madonna con il Bambino e Santi di Bonamico di Martino da Firenze, detto Buffalmacco. Segue l’antica cappella Bertoldini, oggi altare Spadari, con pitture di Andrea di Nerio, grande protagonista del Trecento aretino, e la cappella marmorea di Ciuccio Tarlati, l’unica rimasta delle ventisei esistenti nel XIV secolo, realizzata da Giovanni d’Agostino nel 1334 su commissione di Roberto Tarlati.
Importanti trasformazioni all’originario assetto della Cattedrale furono apportate intorno al 1810 per volere del vescovo Agostino Albergotti, il quale nell’intento di creare un «percorso interno» capace di esprimere la continuità della storia della Chiesa aretina indicò nella cappella della Madonna del Conforto il momento culminante. La cappella, che si apre lungo la navata sinistra, è connessa al miracolo del 15 febbraio 1796. Iniziata nell’agosto dello stesso anno sotto la direzione del vescovo Niccolò Marcacci, essa fu completata nel 1817 dietro il forte impegno del vescovo Albergotti che della cappella ha voluto fare uno «scrigno» straordinario, oggetto all’epoca di grande interesse internazionale e oggi fulcro di una forte devozione popolare. Progettata da Del Rosso, architetto granducale, la cappella segna un momento di dedicazione totale alla Madonna, sia attraverso le due grandi tele raffiguranti la Giuditta e l’Abigaille, rispettivamente eseguite da Pietro Benvenuti e da Luigi Sabatelli, sia per mezzo dell’intera decorazione pittorica e scultorea, nonché dei grandi capolavori di oreficeria. Al progetto del vescovo Albergotti, oltre agli affreschi eseguiti da Giuseppe Servolini nelle due cappelle laterali all’abside, si lega il trasferimento del monumento funebre del papa Gregorio, quello del cenotafio Tarlati e la collocazione del deposito di san Satiro nella cappella di Ciuccio Tarlati. All’interno della cappella, il vescovo, per metterle in sicurezza, fece collocare, portandole da altre chiese cittadine, le grandi pale di Andrea Della Robbia e del suo ambito.