Corpus Domini in tempo di pandemia

14-06-2020

Chiesa in Uscita, ci ripete Papa Francesco, con un’espressione ricca di significati. Chiesa vicino alla gente. Chiesa cattolica, che vuol dire una sola famiglia nel mondo intera, tra quanti credono nel Signore. Il nostro ministero, cari amici, è quello di far capire a tutti che Dio, con infinito amore, si cura di noi: ci aiuta e ci salva. Una storia d’amore alla quale siamo chiamati di avere parte.

La Festa del Corpus Domini è l’occasione propizia per riproporre il rapporto tra Eucaristia, che è il sacramento della presenza di Dio, e la Carità, che è l’opera di Dio attraverso questa Chiesa.

Correva l’anno 1264, in Orvieto Papa Urbano IV, in un’Europa frantumata dalle divisioni, volle istituire questo giorno speciale. La presenza reale del Signore nelle specie eucaristiche è riaffermata, scrive quell’antico Papa, dal “miracolo della carità”: se non ci fosse Dio presente in mezzo a noi, se la Chiesa fosse un’istituzione puramente umana, un’associazione come tante altre avrebbe perso tempo di preoccuparsi dei poveri, degli ultimi, l’impegno per la carità, che invece si è rinnovato anche in questa pandemia.

La carità praticata è sempre un vero sacrificio, non è comodo farsi carico degli altri, soprattutto quando sono poveri, malati, anziani che soffrono. Siamo tutti inadeguati alle necessità degli altri. Di lì nasce la santa umiltà, che costruisce la Chiesa del Signore. La carità praticata ci fa pensare a fare del nostro meglio, senza nulla pretendere, senza neanche aspettare di essere riconosciuti. Con noi c’è Dio, che è invece onnipotente e provvido: sa fare meraviglie anche di queste tribolazioni. Dio non manda mai il male, ma sa trasformare il male in bene.

Perché uscire nelle strade della città dell’uomo? Il culto cristiano non è un rito privato, riservato a pochi iniziati, come gli antichi misteri pagani, ma liturgia, ossia azione di popolo, catechesi e partecipazione al sacrificio di Cristo in croce. Le Chiese di Oriente si servono della Divina Liturgia per iniziare i nuovi arrivati ai misteri della Salvezza.

Il popolo di Dio presente alla Messa “per rappresentanza” è un’aberrazione tollerabile solo nell’emergenza sanitaria, ma deve necessariamente finire. Abbiamo bisogno di Gesù. I Santi martiri di Abitene “sine dominico non possumus” e la Chiesa del nostro tempo ripete il bisogno estremo di Gesù ed Eucarestia. Credo che sia importante cogliere la Parola di Dio e il Sacramento del pane e del vino sono un tutt’uno che i cristiani non hanno mai separato. La Parola dà il senso ai gesti che si ripetono alla maniera dell’Ultima Cena, che così diventa un memoriale, cioè rende attuale la presenza del Signore nella santa Assemblea.

Nessuno in Chiesa è un anonimo. Ciascuno porta il proprio nome ricevuto nel Battesimo che lo ha fatto cristiano, cioè parte della grande fraternità che è la Chiesa. I pii esercizi personali sono utili. Il culto eucaristico è necessario, ma il più alto atto di culto è la Santa Messa. In Terra aretina le nostre donne iniziavano le giornate con la Messa e la finivano con la preghiera. Occorre mettere Dio al primo posto, tutto il resto si aggiusta.         Nella prassi attuale il rapporto tra l’omelia e la materialità dei segni significativi, cioè dei Sacramenti, non dovrà essere sottovalutata. Amici, alla Messa si va, si partecipa non si guarda per televisione, eccetto i casi di malattia o di impossibilità assoluta di farsi presente. Il precetto festivo della Messa non può essere soddisfatto in altro modo che con la partecipazione personale alla Messa della domenica. Certo va tenuto presente il principio morale che nessuno è obbligato a compiere atti “impossibili”. Per questo chi per seri e gravi motivi è impedito o impossibilitato non è tenuto al precetto: ad esempio, chi è malato o anziano, o chi è particolarmente lontano dal luogo della celebrazione domenicale, o dove, per mancanza del sacerdote, la Messa non viene celebrata, ecc.

Si chieda alle Istituzioni del Territorio di partecipare ad uno speciale incontro che faremo sul servizio che la Chiesa può assicurare ai malati e alle fasce deboli della società. Siamo disposti a collaborare con la società civile, proprio per il rapporto privilegiato tra la carità e l’Eucaristia. La carità che facciamo nasce dall’Eucarestia: sarà bene ricordare a tutti un antico principio: “unicuique suum”. Ognuno faccia il suo.

Dopo questa Santa Messa il SS.mo Sacramento porterò alla porta principale del Duomo per Benedire la Città, giacché non ci è stato reso possibile attraversare le vie di Arezzo, come da secoli si fa il giorno del Corpus Domini.

La Benedizione, ad ogni buon conto, non aggiunge nulla alla Messa appena celebrata. Nessun atto di culto è più grande della Santa Messa. Perché dunque andare a portare il Sacramento sulla porta del Duomo? Giova spiritualmente a ricordare con dei gesti significativi che Dio è presente, si fa carico delle necessità del suo popolo e che questa Chiesa si impegna nella carità. “Benedicere”, cioè “dire il bene”: è un impegno di tutti noi di fare del nostro meglio, perché l’opera che Dio intende svolgere tramite la Chiesa sia sempre manifesta, soprattutto a chi è nel dolore o alla ricerca. è stato un grande sacrificio non essere accanto alle famiglie che hanno avuto un lutto; una grande sofferenza non poter aggregare il popolo. Se Dio vuole, la Madonna del Conforto è stata di grande aiuto: mi dicono le Autorità che di questi cittadini di Arezzo, neppure uno è morto di coronavirus.

La Madonna ci ha aiutati.   L’abbiamo pregata intensamente. Voglio ringraziare il Capitolo della Cattedrale che ha assicurato ogni giorno una presenza articolata, Camaldoli che ci ha fornito di riflessioni utili e sapienti per nutrire di qualità i gesti della devozione. Faremo del nostro meglio, porteremo il Signore accanto alla gente non accanto ai gesti sacramentali che si addicono al giorno Corpus Domini, ma con l’amore al quale siamo chiamati a rinnovarci in questa sera Benedetta in cui la vocazione alla vita cristiana ci è ridata a ciascuno di noi