In attesa di Benedetto XVI apriamoci alla speranza

Papa

Il tempo che ci separa dalla Visita Pastorale del Papa è un tempo fecondo di attesa. Il verbo attendere non è un verbo vuoto che indica un semplice e passivo aspettare, ma un verbo ma denso che ci rimanda ad una dimensione di tensione, di attenzione e di cura, un verbo grazie al quale ci prendiamo cura, nel presente, del passato e del futuro. Nel progettare l’evento dell’incontro con Benedetto XVI la memoria di tutti, almeno per un momento ritorna al 1993 quando il Pontefice Giovanni Paolo II ha visitato la terra aretina. Un’occasione anche quella di grazia e di crescita nella fede, alla quale abbiamo partecipato con trepidazione ed entusiasmo. Le stesse emozioni che oggi si ripresentano e che sentiamo sottese al momento presente nel quale i progetti e le iniziative si moltiplicano.

Viviamo questo nostro presente dunque come un dono e un momento di verifica, un tempo pieno d’attesa appunto che ci tiene ancorati al passato, non per un nostalgico rimpianto, ma per un rinnovato impegno e, contestualmente, ci apre alla dimensione del futuro. Passato e futuro non sono due tempi sterili, di cui il primo non è più e l’altro non è ancora, ma sono il tempo della memoria e della speranza. Fare memoria e aprirci alla speranza, questo è il compito del cristiano che, vivendo il presente con coraggio e fiducia, sente che niente andrà mai perduto.

Proseguendo nella lettura della Lettera Pastorale dell’arcivescovo Riccardo Fontana Pietro viene a trovare Donato ci soffermiamo in questa nostra breve riflessione sul tema della visita. Perché il tema della visita è un tema ricco di riferimenti e di spunti interessanti. Si pensi ad esempio alla visita ricevuta da Elisabetta che, come dice il santo Padre della Chiesa Agostino, «Al sesto mese viene visitata da Maria, la madre del Signore, e il bambino esulta nel grembo, simbolo della profezia che comincia a svelarsi sin dalla prima venuta del Signore, nella quale si è degnato mostrarsi nell’umiltà: ma come nel grembo, cioè non tanto chiaramente da essere riconosciuta da tutti in piena luce. Noi crediamo che questo avverrà alla seconda venuta del Signore, quando verrà nella gloria. Precursore di questa venuta sarà Elia, come della prima è stato Giovanni» (Le 83 questioni diverse, 58). Ma anche la visita alla quale ci stiamo preparando, può essere riletta nel segno dell’anticipazione della Venuta del Signore. Il successore alla cattedra di Pietro viene a visitarci perché, come dice l’Arcivescovo: «La passione per la gente, la voglia di essere vicino, soprattutto a chi tribola ed è in difficoltà, è la scelta stessa di Gesù. Il suo Vicario Benedetto XVI vuol fare lo stesso; viene in Arezzo per parteciparci il dono dello Spirito che è la benedizione e il coraggio apostolico, perché possiamo ridire il Vangelo a tutti – “ditelo sui tetti” – e aiutare le persone del nostro tempo a riavvicinarsi al Signore, che anche per noi ha progetti di pace e vuole farci coraggio nelle prove del tempo presente». Non è dunque una visita inaspettata e non dovrebbe in alcun modo coglierci di sorpresa, impreparati.

Il Pontefice viene a visitarci, affinché anche noi diveniamo annunciatori di un Messaggio che dobbiamo e possiamo saper accogliere anzitutto nella nostra vita con timore e tremore, per dirlo con le parole di Kierkegaard. Nella visita è dunque preannunciata la vera Visita, quella del Signore che desidera incontrarsi con noi, con ciascuno di noi. È lui che entra nella storia, la nostra, si rende visibile nel suo Servo e Pastore Benedetto e chiede di ospitarlo nel nostro vissuto, di farlo entrare nelle trame della nostra vita quotidiana e delle nostre scelte, per rendere testimonianza di una fede viva, matura, consapevole e, ancora oggi, aperta alla Buona Novella del Suo Vangelo.

Diviene evidente che il vero protagonista di questo evento non siamo noi che ci affanniamo, ma Lui che si fa dono. È Lui che sceglie il giorno e l’ora, a noi però spetta il compito di essere preparati e vigili nella fede, perché la sua Venuta non ci colga mai di sorpresa. Infatti, dice ancora in un sermone Agostino «il Signore Gesù Cristo che regge e dà vita alla creatura, governa il mondo, è il Fattore degli astri, colui che regola i tempi, poiché nacque quando volle, scelse per sé il giorno della nascita a farsene un segno indicativo ed egli fissò pure il giorno al suo Precursore. In costui volle che si scorgesse l’uomo, in sé Dio. L’uomo deve diminuire, Dio deve crescere. Questo indicano le loro passioni. Giovanni fu decapitato, Cristo fu innalzato sulla croce».

Nel Suo essere e Farsi dono per noi ci viene offerta anche la possibilità di sperimentare due dimensioni che dovrebbero dare sapore a tutta la nostra esistenza quotidiana: la gratuità e il servizio. Ricevere un dono ci inscrive in un fecondo dinamismo oblativo, che non può che aiutarci a crescere. Il primo frutto del dono è, infatti, la riconoscenza per il gesto della donazione, oltre che per il dono in se stesso. La visita del Pontefice è dono prezioso per la nostra Chiesa locale che, oggi più che mai, è chiamata a riflettere sul modo di vivere la dimensione della condivisione e della comunione. La famiglia, ma anche i contesti educativi e formativi, i luoghi di lavoro e di impegno sociale e pastorale, ovunque siamo chiamati ad interrogarci sulle pratiche ordinarie, sui nostri stili di vita, affinché a nessuno sfugga di misurarci con una domanda essenziale: quale è «la nostra identità cristiana, misurandoci possibilmente con la fede che ci insegnarono i nostri avi». Gratuitamente abbiamo ricevuto e, gratuitamente, doniamo ciò che siamo. L’impegno vissuto nel segno della gratuità non è semplicemente un fare senza avere nulla in cambio, ma un autentico spendersi, anzitutto per far crescere altri e in altri il desiderio dell’amore inesauribile. Ciascuno di noi, nella misura delle proprie possibilità, è chiamato a partecipare a questa Venuta.

L’Arcivescovo ci suggerisce anche i modi semplici, ma non meno importanti, per far sì che tutti siano presenti, come ad esempio i bambini che «potranno vedere sulla cima del colle di San Donato il popolo di Dio adunato, che è in sé, nel momento liturgico, tra i segni principali della presenza dei cristiani nella città». Si tratta di un’immagine festosa e viva, segno di una Chiesa, che pur nelle fatiche quotidiane si impegna a camminare sul sentiero del vero amore per Cristo. Ancora guidati dalle parole di Agostino proviamo a riflettere sul lavoro che ci attende, perché come egli ci avverte: «Se non si sa per dove andare, è facile deviare. Ci riconduce sulla via il Signore e, quando diventiamo fedeli aderendo con la fede al Cristo, già cominciamo a camminare sulla via, anche se ancora non siamo in patria. E se siamo ben consapevoli di essere cristiani esortiamo tutti quelli che ci sono più cari, che ancora errano tra le vane credenze e le eresie, a porsi sulla via e a camminare. Ma dobbiamo anche esortarci a vicenda noi che già siamo in cammino, perché, se è vero che arrivano in patria solo quelli che sono sulla via, però non tutti quelli che sono in cammino giungono alla mèta».

Donatella Pagliacci