Il diluvio universale stava per finire. Noè era isolato sull’Arca con rappresentanti delle famiglie di tutti gli esseri viventi. Una colomba, volata via al primo mattino, ritornò la sera con un ramoscello d’olivo in bocca[1]. Era il segno che era finito il diluvio e bisognava cominciare a vivere da uomini.
Rami di olivo, in mano ai ragazzi ebrei, accolsero a Gerusalemme Gesù che entrava su un’asina[2]: “La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via”[3]. Fu l’avvio della Passione del Signore, culminata non già con la morte, ma con la Resurrezione di Gesù dai morti. Anche quella volta, i rami d’olivo furono il segno del nuovo da ricostruire.
In questa difficile domenica, qualche timido segnale fa presagire l’inizio della fine della terribile pandemia, che ha sovvertito usi e costumi, economie e sicurezze di una società che, ancor prima del morbo, era malata.
Sotto l’altare della Chiesa Cattedrale, ho voluto che ci fosse il segno della “volata”, che da secoli dice Pasqua alla nostra gente di Valdichiana, come a gran parte dell’Umbria: è il segno di Cristo risorto che arriva di corsa nell’Assemblea sorretto dalle forti braccia dei più giovani del popolo. Anche in Duomo, sotto l’altare quadrato, come il più antico nella Basilica vaticana, un giovane uomo dalle sembianze di Cristo sorregge la Mensa dell’Eucaristia, con in mano un ramo d’olivo.
“Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone”[4]. I Padri della Chiesa d’Oriente guidano la riflessione comune, che non basti agitare rami strappati agli alberi fiorenti – è questa la stagione delle marze d’olivo -. Occorre abbassare i ponti levatoi del nostro castello interiore[5], perché Cristo possa entrare a coinvolgerci ancora una volta nel costruire il nuovo. Pasqua vuol dire “passaggio” e mai come oggi, a ricordo di questa generazione, occorre ricostruire il nuovo, non già il passato che è miseramente franato. “Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno”[6], il mondo che abbiamo conosciuto è stato devastato da un piccolo essere, che rischia di far crollare le sicurezze di molti e il senso di onnipotenza di una cultura, da decenni, condizionata dal potere dei soldi, dal dominio dei più forti sui più deboli, dalla soddisfazione dei sensi. A Cristo che entra nella Città Santa, dove nel giro di una settimana sarà crocifisso e risorto, vogliamo umilmente chiedere di fare anche noi cristiani la nostra parte nella ricostruzione del nuovo.
Come nell’Arca di Noè c’era il necessario per ripopolare il mondo, anche noi sulla barca di Pietro[7]: “I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura»”[8]. Siamo chiamati a considerare i modi e le forme, perché Pasqua non sia solo un giorno del calendario, ma il segno della speranza, la vittoria di Cristo sul male. È la forza di una Chiesa che vuole rinascere, facendo fruttificare i buoni semi dello Spirito, che abbiamo cercato di raccogliere nel grande vaglio che è stato il nostro Sinodo.
Coraggio dunque, fratelli miei, torniamo ad affidarci al Risorto, nostro Signore, rinnoviamo con la fede il ringraziamento a Dio. La carità, che molti hanno potuto esprimere in queste settimane, ma anche la solidarietà di chi ha ritrovato nel servizio segni di identità umana sono figlie del Vangelo. La famiglia rivissuta, la generosità condivisa di molti meno intenti ai loro interessi e più disponibili al bene comune sono il segno della Pasqua di quest’anno.
[1] Cfr. Gen 8, 11
[2] Cfr. Mt 21,1-11
[3] Mt 21, 8
[4] Sant’Andrea di Creta, Disc. 9 sulle Palme
[5] Cfr. Santa Teresa d’Avila, Il castello interiore, 1577
[6] A. Manzoni, Il 5 maggio, 1821 vv25-26
[7] Cfr. Mt 14, 22-33
[8] Mt 14, 26-27
LITURGIA DEL GIORNO