Cari sacerdoti, raccolti attorno all’altare,
figli e figlie della nostra Chiesa:
il Signore ci dia pace!
Tre secoli or sono Papa Clemente XI riconobbe le virtù eroiche del suo predecessore Gregorio X e ne confermò il culto per
- Un messaggio di pietra
“La gloria di Cristo rifulge nei suoi santi”.[1] Arezzo è chiamata a misurarsi con il Beato Gregorio, uno dei grandi che nel suo passaggio in questa terra la segnò con la sua qualità, divenendo un esempio per i fedeli con la sua vita personale e con il suo magistero.
Al suo dono dobbiamo l’edificazione della nostra Cattedrale, che è il segno visibile, “di pietra e di ferro”, in cui si esprime l’unità e l’identità della Chiesa diocesana. La scelta degli antichi fu che il Duomo, e più ancora ciò che esso significa, fosse il punto di riferimento della comunità. La collocazione nell’urbanistica medievale, fece seguito a una scelta ideologica. Diventò quasi il logo della città stessa di Arezzo. Fu il segno leggibile, il manifesto di una comunità dalla quale traiamo origine. Lo fu certamente con la sua destinazione al culto, ma non meno con la cultura di cui tuttora ripropone i temi, capaci di farci riflettere e meritevoli di essere decrittati. Dice l’Apostolo: “Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, […] senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri”.[2] Quale modello di Chiesa la Cattedrale vuole proporre alle generazione future? La scelta delle forme dice il progetto di Arezzo alla fine del XIII secolo. Una comunità inclusiva, alla ricerca del trascendente nelle sue linee gotiche, ma solida e ben fondata, attenta alle maggiori realtà europee del suo tempo.
La Cattedrale fu, e forse lo è ancora, il più ampio spazio coperto della città. È come dire che c’è posto per tutti, che ciascun membro del libero comune è considerato di casa in questo luogo, che è la casa di Dio, ma anche la casa del suo popolo aretino. Costruire il Duomo in summo colle è una scelta di campo, un dialogo continuo e non interrompibile con tutti: da tutti è vista, dovunque ti poni.
Esprime una Chiesa che non si nasconde, non si nega al dialogo, non si contrappone. È di tutti, ma è alta, sopra le fazioni. È di Pietro, cioè cattolica, ma egualmente di Donato, cioè aretina, nostra.
Non c’è uno spazio sacro e uno profano nella vita dell’uomo, che è un fluire continuo dove i temi della Grazia e della fragilità umana si intrecciano con combinazioni inattese[3] eppure sempre degne di considerazione. Ancora abbiamo ascoltato: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo”.[4] È quella logica dell’incarnazione, per cui noi crediamo che Gesù misericordioso ci rende possibile la salvezza e supera quella condizione disumana che spesso ci affligge. Il Duomo quasi ripete la cultura dei suoi edificatori. È come dire nell’ambiente culturale di Papa Gregorio non si può escludere Dio dalla quotidianità: è presente e interpella rispettando la libertà di ciascuno, ma a tutti proponendo quel percorso ascensionale che è la dimensione della conoscenza di Dio. Il Duomo in qualche modo è il corrispettivo dello itinerarium mentis in Deum, scritto qui in pietra, come Bonaventura proprio in quegli anni lo fissò a
Alla fine dell’800 la nostra cattedrale fu ampiamente studiata, cercando di cogliere il senso delle sue mirabili forme. I pilastri che sorreggono queste volte a crociera ribassata sono il costante tentativo della storia umana di quadrare il cerchio; i “numeri magici” con cui furono intrecciati, inanellando geometrie contrastanti, richiamano una scienza che non si contrapponeva alla fede, malgrado le sue derive esoteriche.
- In dialogo con le culture del nordeuropa
Le tre navi che nel Duomo rendono possibile il pellegrinaggio attorno all’Arca di san Donato e ribadiscono, con un linguaggio non consueto in Toscana, la centralità dell’altare e della Parola di Dio. L’ambone e i pulpiti evocano una coralità liturgica nordica, richiamano un pensare diverso da quello dei nostri vicini. Le sette ogive che filtrano la luce di vetrate purtroppo solo in parte rimaste aperte richiamano la scelta di edificare sul modello di Canterbury: non fu una scelta solo estetica, ma principalmente ideologica. Compresa la memoria martiriale che rammenta al fedele la nostra identità, tutto ruota attorno ai sacri misteri di Cristo presente nell’assemblea, che non rinunzia a ricordare che vogliamo essere un popolo peregrinante. Il cammino nel tempo è una virtù che gli antichi ci tramandarono, perché sapessimo resistere alla tentazione della più facile stasi, del ripiegarsi su se stessi. Con lo spazio codificato del pellegrinaggio si ripete la volontà di una Chiesa in movimento, verso la città di Dio, che si raggiunge passando per la piazza della città dell’uomo, senza fughe in presunte combinazioni devote. Ancora possediamo gli inni di san Pier Damiano, che da Camaldoli ci dona il canto per il pellegrino che entrando dalla porta di Mezzanotte (abbattuta per edificare
- Il tesoro di Papa Gregorio
Ben più preziose delle cose furono le virtù personali di quel Papa antico, che, qui sepolto, attende la resurrezione: diventano un programma di vita anche per
Il Beato Gregorio ebbe la ventura di vivere in un periodo complesso e difficile per
Tedaldo per difendere
Fece voto, prima di lasciare la terra di Gesù, sui ritmi del Salmo: “Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”[8]. Ecco gli ideali di Gregorio: la funzione aggregante della terra di Gesù, Gesù vivo, risorto, presente in mezzo a noi, il riferimento immediato a ricomporre le divisioni della Chiesa. A Lione gli riuscì persino di rimettere insieme
Gregorio X fu soprattutto il Papa dei poveri. Mise la scomunica a chi avesse provato a fare l’usura, in un’epoca in cui tutti si approfittavano dei poverelli, quasi come ora. Il Papa interviene e con coraggio esclude dalla comunione della Chiesa chi prova ad approfittarsi dei poveri. Vuole la riforma del clero e del laicato. Aveva tante volte nella sua vita pagato di persona. Voleva una Chiesa santa e splendente.
Fu un Papa amabile che ci ha lasciato l’esempio per raggiungere la santità, pieno di apertura e di zelo verso i suoi contemporanei, perché tutti incontrassero Gesù.
A noi che siamo continuamente tentati di rimanere dentro le nostre quattro valli, questo Papa che qui in Arezzo aspetta la risurrezione, ci indica
Il santo che ha fondato il Duomo, lasciandoci tutto quello che aveva, ci insegna a fare rapporti. Ad avere in onore il mondo universitario, lui che passò da un’istituzione all’altra pur di ragionare di un’Europa allora tanto divisa. Oggi non siamo capaci di fare relazioni come fecero allora. I Santi ci insegnano a svegliarci, a uscire dal sonno, ad avere il coraggio delle riforme, il coraggio del nuovo. Di mettere mano anche dentro