La Solennità dei Santi Pietro e Paolo è festa di Chiesa, festa di comunità, ricorrenza che celebra e annuncia la fedeltà di Dio nell’avere cura della famiglia ecclesiale, del suo amore per il popolo santo di Dio.
In Pietro e Paolo vediamo le figure del Primo Apostolo, segno dell’unità e della comunione di tutta la Chiesa e dell’altro Apostolo, annunciatore della bella notizia del Vangelo a tutti i popoli. Pietro e Paolo sono Pastori secondo il Cuore di Gesù, a cui Egli ha affidato la cura della sua Chiesa, rivelando la provvidenza e l’amore di sempre del Signore per la sua comunità.
Una fedeltà che oggi si rinnova nel ministero del Vescovo di Roma, il Papa, successore di Pietro e in ogni annunciatore del Vangelo con la parola e con la vita, come Paolo, l’Apostolo delle genti.
In questa Solennità che celebra la custodia e la cura del Signore per la sua Chiesa oggi noi celebriamo l’ordinazione presbiterale di un giovane della nostra diocesi che presenta al Signore la sua vocazione e che riceve nella grazia sovrabbondante dello Spirito Santo il dono di diventare pastore nella comunità, prete secondo il Cuore di Gesù.
A Raffaele, alla sua famiglia, alla comunità parrocchiale di S. Giovanni da cui proviene, alle parrocchie che lo hanno accolto nel suo cammino,
al seminario, agli amici e a tutti i presbiteri della diocesi il mio augurio e la mia gratitudine.
La Parola di Dio che è stata proclamata illumina la celebrazione odierna e l’ordinazione presbiterale e mette in luce la fonte della vocazione al servizio ministeriale nella Chiesa e alcune dinamiche necessarie per essere preti nel nostro tempo. La pagina degli Atti degli Apostoli (At 12,1-11) descrive una dinamica della Chiesa delle origini, che Pietro vive in un passaggio particolare del suo ministero, quando viene messo in catene, ma che si ripete poi nel cammino della comunità primitiva ed è dinamica di sempre. Nel momento in cui il Vangelo comincia a diffondersi, a partire da Gerusalemme, l’esperienza missionaria della Chiesa e dei primi apostoli, come Pietro, incontra resistenze, battute d’arresto, persecuzione, chiusura. Ma la risposta dello Spirito alle catene imposte al diffondersi del Vangelo e ai passi degli apostoli è un rinnovato vigore della Parola e una ripresa decisa della sua diffusione come parola di vita e di gioia. Così Pietro proprio quando è in carcere, quando è in catene, quando è privato della libertà dell’annuncio, sperimenta il Signore come colui che libera, che riapre gli orizzonti della testimonianza e il diffondersi della Parola che salva. Le parole dell’angelo a Pietro in carcere sono parole che parlano di Risurrezione, di vita, di uscita ad una nuova esperienza missionaria: “Alzati, in fretta… Mettiti la cintura e legati i sandali… Metti il mantello e seguimi” (cfr At 12, 7-8). Parole di risurrezione e di sequela. E Pietro si ritrova nel bel mezzo della città: “Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui” (At 12, 10). L’esperienza di Pietro, dell’apostolo in generale, è quella di essere portatore di una Parola che gli è affidata e che è stata liberata da resistenze e catene. Riprende la forza dell’annuncio, la Parola corre e salva. È una prima dinamica che sta all’origine della vocazione come sorgente e come missione e oggi è nuovamente indicata a te, Raffaele. Si tratta di liberare la Parola. Diventando prete, sei chiamato a liberare la Parola, cioè a vivere la tua vita come servizio alla Parola, come annunciatore convinto e coerente. Tu, Raffaele, vivi, come Pietro, l’esperienza della Parola di Dio che si fa dono nella gratuità, che sarai chiamato a testimoniare e ad annunciare come eredità a te affidata, da custodire e da portare ad altri. Oggi sei messo alla porta, oltre le catene del carcere, nella città, portatore della Parola che dà vita e che salva, che alimenta la speranza e che chiede di amare.
È una bellissima immagine ed esperienza dell’essere prete: liberare la Parola, far correre oggi nel nostro mondo la Parola di Dio, servirla con la fedeltà della vita. Ti sarà di grande aiuto lo studio della Sacra Scrittura che hai iniziato e che proseguirai a Gerusalemme. Non sarà decisiva la conoscenza semplicemente tecnica della Parola, ma la grazia
dello studio, dell’approfondimento della Parola di Dio che te la fa scoprire come buon nutrimento per te e per le persone a cui sei inviato. Come prete, e come cristiano, dovrai partire dal far correre la Parola in te, nella tua vita. E sarà una Parola che potrà darti luce, riempire di bene il tuo celibato, rinnovare la chiamata di Dio per te, sostenerti nella sequela del Signore.
Paolo, nella Seconda Lettera a Timoteo, presenta la sua vita, ne offre una sintesi, guardandola dalla fine. E arriva a dire: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4,7). Paolo vede che la sua avventura di vita è stata l’esperienza di una vita spesa per gli altri, una vita donata, una vita che ha vissuto l’amore. In queste immagini che Paolo usa – la buona battaglia, la corsa – è trasmessa tutta la passione dell’amare. L’Apostolo ci svela in queste parole cosa ha animato il suo cuore di annunciatore lungo la sua vita, fino alla fine. Caro Raffaele, che passione c’è nel tuo cuore?
Paolo continua rivelando dove ha origine questa passione: l’incontro con il Signore e la sua continua presenza. “Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza”; “il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli”, afferma in 2Tm 4, 17-18. Paolo ha scoperto che è stato scelto dal Signore, cercato da Lui, perché amato. Da questa esperienza di amore nasce la passione dell’Apostolo. Caro Raffaele, oggi con il dono della ordinazione ti è data la medesima grazia: la scoperta, la convinzione, l’esperienza che sei amato dal Signore, sei scelto da Lui perché amato. Custodisci, soprattutto nella preghiera, questo essere amato da Lui e la consapevolezza di esserlo. Amato, sarai un buon presbitero, capace di far dono della tua vita per gli altri e soprattutto per i più poveri.
La pagina di vangelo infine ci presenta il dialogo tra Gesù e gli Apostoli e Pietro riguardo a Lui. Cosa dice la gente di Lui, chi dice la gente che Lui sia… e poi soprattutto: “Ma voi, chi dite che io sia?” (cfr Mt 16,13-19). Gesù accompagna i suoi amici a parlare di Lui, a riconoscere la sua missione, a riconoscerlo amico. La domanda di Gesù è una offerta di amicizia. E nel rapporto intimo con il Signore, nella vera amicizia vissuta, gli Apostoli potranno portare avanti la missione della Chiesa, perché amici di Gesù e solo come amici di Gesù.
È un ultimo invito per te, caro Raffaele. Oggi a te il Signore chiede: “Caro Raffaele, ma tu chi dici che io sia? Chi sono io per te?”. Ed è un invito a vivere l’amicizia con Gesù. Il prete è un amico di Gesù e questa mi sembra una delle definizioni più belle della vita del prete.
A me, a te Raffaele, a tutti i presbiteri oggi il Vangelo dice di coltivare l’amicizia con Gesù, quella vera, quella fatta di dialogo con Lui, quando ci si fa accompagnare da Lui, cercando sempre la sua vicinanza. E pure volendogli bene, proprio a Gesù, da amici. Ecco il prete: uno che fa correre la Parola, che spesso è Parola liberata e che libera; un uomo che ha scoperto di essere amato da Dio e per questo vive il dono di amare; un vero amico di Gesù. Così potrai vivere da prete.
Un’ultima riflessione. Nella pagina degli Atti, con Pietro in carcere, è scritto: “Dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui” (At 12,5). È una bellissima immagine della Chiesa e del compito della Chiesa: pregare per i suoi pastori. Oggi, Raffaele, sentiti accompagnato così: c’è una Chiesa intera che prega per te, che incessantemente fa salire a Dio una preghiera per te. E ci auguriamo che non sia solo la preghiera di oggi, ma una preghiera che ti accompagna. E pregate anche per me perché sia pastore fedele al vangelo e insieme preghiamo per il nostro papa e per il dono anche di nuove vocazioni al sacerdozio.
Custodisca questa nostra preghiera, per te Raffaele e per tutti noi, Maria, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa e porti al cuore di Dio la nostra supplica.